LA DANZA ALLA CORTE RINASCIMENTALE

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A partire dalla metà del XV secolo, sono sempre più frequenti le testimonianze e le descrizioni di sontuosi festeggiamenti presso le Corti rinascimentali nei maggiori centri di cultura italiani, fra cui Milano, Venezia, Ferrara, Bologna, Pesaro, Urbino, Napoli. Ricorrenze quali fidanzamenti e nozze fra personaggi illustri, visite di re o ambasciatori, vittorie militari o conquiste di nuovi possedimenti, sono spesso occasione per l'allestimento di giostre, rappresentazioni, banchetti e balli. Consigliata come esercizio per il corpo e la mente, la danza entra a far parte dei requisiti essenziali alla formazione della dama e del cortigiano, divenendo strumento per manifestare nobili principi quali signorilità, dignità, onestà e modestia. La crescente pratica della danza fra i membri della Corte, induce i nobili ad assumere i maestri più in voga, sia per l'insegnamento delle danze che per l'allestimento di feste. Se la pratica della danza avviene per lo più in ambito privato, quale pratica e divertimento dei partecipanti, è nelle occasioni pubbliche che diviene elemento spettacolare: i ricchi addobbi delle sale, i ricercati arredamenti e l'esposizione di preziosi vasellami costituiscono, assieme ad ingressi trionfali e colorate giostre, un'immagine scenografica indice di lusso e di ricchezza, cui la Corte partecipa sia come interprete che come spettatrice. Ed è proprio nello spazio scenico della festa, luogo privilegiato per il ballo pubblico, che gli illustri personaggi dell'età rinascimentale esibiscono la propria arte. Ippolita e Galeazzo Maria Sforza, alla metà del secolo XV, e successivamente Isabella D'Aragona, Beatrice e Isabella D'Este e la discussa Lucrezia Borgia, sono tra le figure eminenti del Quattrocento, il cui danzare diviene, oggetto di ammirazione nelle relazioni di ambasciatori e cronisti. Se a Messer Domenico da Piacenza, capostipite dei maestri di danza della generazione quattrocentesca, dobbiamo il merito della stesura del primo codice della storia della danza italiana, è grazie all'attività di Guglielmo Ebreo da Pesaro che si ha la più ampia diffusione e la più cospicua produzione di manoscritti sull'arte del danzare. Tali testi comprendono una prima parte dove vengono espressi i principi fondamentali a cui il ballerino doveva attenersi, e una seconda con la descrizione della coreografia distinta nelle due forme principali della letteratura del VX secolo: la Bassa Danza e il Ballo. Nel 1554, Cesare Negri, "professore di ballare", apre a Milano la sua scuola che per molti anni sarà frequentata dai rappresentanti delle più grandi famiglie italiane. Lui stesso ci fornisce un lungo elenco di danze nel manuale "Le Grazie d'Amore", dedicato a Filippo II di Spagna e pubblicato a Milano nel 1602. Il testo, assieme alle precedenti pubblicazioni di Fabrizio Caroso ("Il Ballarino", Venezia 1581, riedito in versione corretta col titolo "Nobiltà di Dame" nel 1600), contiene i principi della danza del Tardo Rinascimento italiano, e ne mette in risalto l'alto livello tecnico raggiunto, aprendo la strada al virtuosismo individuale che troverà la sua massima espressione nella Francia del re Sole. Assieme alle regole per ballare, i due maestri forniscono una minuziosa descrizione di oltre cento coreografie di "balli" e "balletti", ciascuna corredata dalla propria musica e dedicata, con uno o più sonetti, ad una dama dell'aristocrazia.